Rassegna Papini: critici, editori, lettori

Nella presentazione al saggio sui racconti giovanili di Papini pubblicato recentemente, Andrea Vannicelli scrive che "forse soltanto oggi è possibile tentare di ristudiare l’opera narrativa di Papini con serenità, basandosi sui testi, sulle opere, sui documenti, perché ormai sono lontani i tempi in cui era in voga una critica che aveva tra i suoi presupposti l’ideologia" [1]. Tuttavia, nello stesso paragrafo in cui lo studioso afferma quello che è insieme un auspicio e la giustificazione al proprio lavoro, si ricorda l’analoga constatazione che, già nel 1981, Giorgio Luti scriveva in apertura della prefazione all’inedito Diario 1900 di Papini. L’anziano studioso esordiva infatti nello stesso modo: "Sembra giunto il momento per una equilibrata riconsiderazione storica della figura e dell’opera di Giovanni Papini" [2]. Ciò che colpisce allora delle parole di Vannicelli, a distanza di oltre vent’anni dagli auspici di Luti, è che, come Luti apriva con "sembra", Vannicelli sente la necessità di temperare la propria affermazione con un "forse". Sarà giunto il momento, oggi, di leggere Papini senza pregiudizi? Sarà giunto il momento, oggi, di leggere Papini?

Nel 1976, quando Franco Maria Ricci, su suggerimento di Jorge Louis Borges, ripubblicava alcuni racconti scelti di Papini, scriveva nella presentazione che lo scrittore fiorentino sarebbe stato "certo una sorpresa per il pubblico italiano, abituato a considerare l’autore della Vita di Cristo come uno scrittore da non leggere" [3]. È buffo come siano stati gli stessi curatori delle (rare) ristampe papiniane degli anni fra i Sessanta e i Settanta a contribuire a questa congiura del silenzio sul nome e l’opera di Papini. È il caso di Luciano De Maria che, nel 1978, afferma sì di lottare contro "il miscuglio di prevenzione, sospetto, ostilità, indifferenza, incomprensione" aleggianti attorno a Papini, ma poi, poche righe più sotto sentenzia che "dopo la prima guerra mondiale (…) Papini sopravviverà a se stesso" [4]. Allo stesso modo, Luigi Baldacci, mentre contesta il giudizio di Gianni Scalia secondo il quale "delle idee papiniane non conviene fare un inventario; esistono appena" [5], si guarda bene dal fare "un’apologia di Giovanni Papini". Secondo Baldacci "il personaggio, in blocco, non si salva. Il che non significa che non possano essere valutati serenamente alcuni momenti, o un momento solo, della sua storia" [6]. E, infatti, quando alcuni anni più tardi, gli sarà affidata la curatela di un volume della prestigiosa collana mondadoriana "I Meridiani" da dedicare a Papini, Baldacci quale unico momento di Papini da salvare sceglierà quello del periodo delle riviste d’inizio Novecento perché ancora una volta è "l’unico certo che abbia avuto un significato d’incidenza nella cultura del suo tempo" [7] poiché dopo la conversione "tutta l’intelligenza critica di Papini sarà come ringoiata" [8].

Traspare, nelle parole dei due studiosi, una comune preoccupazione di giustificare il proprio lavoro sull’autore dell’Uomo finito, mettendo bene in evidenza che il personaggio nella sua globalità sia da respingere assolutamente: quello che si può salvare lo si rinviene nella prima parte della sua opera – lo spartiacque è la conversione religiosa – in cui si possono ritrovare alcuni spunti importanti per la storia del Novecento letterario. Il sospetto che questa periodizzazione censoria sia un un modo di pagare pegno alle ideologie del momento storico, nasce dal fatto che i due studiosi si augurino entrambi nuove direzioni di ricerca, che non potrebbero, evidentemente, che allargare l’orizzonte temporale. De Maria si augura che "questo libro faccia nascere in qualcuno la nostalgia o il desiderio della coerenza e della sincerità intellettuale, il gusto delle polemiche disinteressate che sorgono su motivi ideali" [9]; Baldacci afferma di lasciare "il discorso aperto" presentando il Meridiano stesso come "un libro aperto: disposto, cioè, ad essere ampliato e integrato da altri libri, da altre sillogi di Papini che potranno seguire" [10].

Il 1981, grazie all’occasione del centenario della nascita, poteva essere l’anno della svolta. E in quell’anno, infatti, o subito dopo, vedono la luce un importante volume critico collettivo [11], un convegno di cui vengono pubblicati gli atti [12], saggi di Mauro Mazza [13] e Giuseppe Fantino [14], nonché il completamento dell’opera critica in quattro volumi dello studioso francese Janvier Lovreglio (mai peraltro tradotta in italiano) [15]. Tale intenso lavorio critico non conduce però a un vero e proprio ritorno ai testi, in quanto, se si eccettuano il Diario 1900 di cui si è detto in apertura e la riedizione dell’Esperienza futurista [16] con – di nuovo – introduzione firmata da Baldacci, non ci sono altre riedizioni e il Papini della maturità rimane negletto. Nel corso degli anni Ottanta troviamo solo Il Diavolo [17] nuovamente in libreria mentre è negli anni Novanta che si assiste a un risveglio.

A distanza di oltre quindici anni dall’invito di Borges è finalmente possibile rileggere i racconti (Strane storie, 1992) [18] mentre Ponte alle Grazie ripropone, con capitoli inediti, Un uomo finito [19] e Passato remoto [20]. La neonata casa editrice, però, probabilmente non ha le energie per far distribuire in modo soddisfacente i propri volumi nelle librerie italiane: i due testi risultano, di fatto, praticamente introvabili.

Maggior fortuna spetta invece alla riedizione di Gog [21], che si avvale della prefazione di Enzo Siciliano, il quale, pur restando incline "[al]l’eterna riduzione a pseudocategorie politiche di ogni cosa, male neppur tanto oscuro dell’intellighenzia alla moda italiana" [22], è pur sempre il primo di quella stessa "intellighenzia" a riconoscere in un libro di Papini degli anni Trenta "una riprova di intelligenza viva – indizio di quei sintomi di conflitto con la sensibilità contemporanea che non appartennero soltanto allo sperimentalismo intellettuale e alla vivacità di Giovanni Papini, ma che gran parte degli italiani vissero nei propri istinti, nella propria mente, ora come un servaggio ora come una liberazione" [23].

Seguiranno, negli anni successivi, Chiudiamo le scuole! [24], presentato dall’editore come "pagine attualissime che si lasciano catturare nella loro sconcertante realtà" e accompagnate dal rammarico per il fatto che "le intuizioni che l’autore ebbe riguardo alla scuola italiana, purtroppo, non sono state mai raccolte e adottate", e I testimoni della passione [25], con sofferta e "accorata" prefazione di Carlo Bo, che già anni prima aveva tentato un recupero dell’ultimo Papini con l’antologia Io, Papini [26].

Negli ultimi anni, oltre a constatare una rarefazione dei titoli riproposti o disponibili, suscitano perplessità anche le scelte operate dagli addetti ai lavori; è il caso, per esempio, di Umilissime scuse [27], un pamphlet che Papini scrisse insieme a Domenico Giuliotti per reagire alle critiche che colpirono la pubblicazione di quel Dizionario dell’Uomo Selvatico scritto all’indomani della conversione e fermatosi al primo volume (A-B) [28]. La pubblicazione di questa appassionata difesa, non accompagnata dalla ripubblicazione del Dizionario, riduce il tutto a un’operazione di mera curiosità e a piccola operazione di bibliofilia (nel volume sono riprodotte alcune pagine del manoscritto originale) che non va certo a interessare chi non conosce Papini. Nell’introduzione, ancora di Carlo Bo, il leit-motiv della critica su Papini non cambia, ma sono forse rese più esplicite le ragioni del silenzio attorno alla sua figura: Papini e Giuliotti sono "due scrittori oggi ingiustamente dimenticati e per i quali non è ancora venuta l’ora della resurrezione… Soprattutto per Papini il silenzio è andato crescendo dopo la sua morte… soprattutto per ragioni politiche" [29].

L’ultimo titolo proposto in ordine di tempo è Il sacco dell’orco [30], libro che ancora una volta passa di gran carriera nelle librerie italiane scomparendo dagli scaffali con scoraggiante rapidità. Ci si interroga, oltre che sulle ovvie difficoltà di distribuzione e visibilità dei piccoli editori, anche su chi è responsabile di certe scelte che vanno a privilegiare un’opera che Papini considerava "un libretto", di cui si accontentava che non fosse "plumbeo" [31]. E, se pure Ridolfi trovava "accanto a bricciche di poco conto, anche frammenti bellissimi" [32], non sembra possa trattarsi del libro adatto a suscitare interesse nel lettore odierno. Rimane che, se si esclude la pubblicazione di alcuni epistolari, questo sia l’ultimo titolo di Papini uscito in libreria.

Così oggi Vannicelli può ripetere ancora una volta che il purgatorio di Papini è finito ma non può non prendere atto che "pochissimi sono i suoi volumi disponibili in commercio" [33]. Rimane dunque inattuabile l’invito alla lettura di Mircea Eliade [34] che negli anni Trenta poteva lodare l’editore Vallecchi per l’"elegante e anche economica" [35] edizione di tutte le opere papiniane. Oggi ai lettori di Papini è richiesto uno sforzo supplementare, quello di cercare le sue opere nelle biblioteche o nelle librerie antiquarie, in attesa che qualche editore non si convinca a seguire gli inviti degli ultimi critici e possa permettere così di "conoscere un po’ meglio quel complicato e mutevole essere conosciuto col nome di Giovanni Papini" [36].

Antonio D'Amicis


[1] Andrea Vannicelli, La tentazione del racconto: le novelle del primo Papini tra simbolismo e futurismo (1894-1914), Firenze, Cesati, 2004. È possibile leggerne la presentazione sul sito dedicato a Giovanni Papini, www.giovannipapini.it nella sezione "Opere su Papini".

[2] Giorgio Luti, Prefazione a Giovanni Papini, Diario 1900, Firenze, Vallecchi, 1981, pag. V.

[3] Giovanni Papini, Lo specchio che fugge, Parma-Milano, Franco Maria Ricci, 1975. Se questa era la situazione negli anni Settanta, ancor più pesante doveva esserlo nel secondo dopoguerra, quando si sarebbe voluto non solo che Papini non fosse letto, ma anche che lo scrittore fiorentino non scrivesse affatto. Alla data del primo ottobre 1946, nell’imminenza della pubblicazione delle Lettere agli uomini di Papa Celestino VI, Papini annotò nel diario: "Un giornaletto comunista dice che tutto mi sarebbe stato perdonato, purché fossi rimasto zitto. Aver ricominciato a lavorare è una colpa. Non so poi di quali delitti dovrei esser perdonato, a meno che non siano atti criminali aver amato Cristo e l’Italia" (Diario, Firenze, Vallecchi, 1962, pag. 447).

[4] Luciano De Maria, Invito alla lettura, in Giovanni Papini, Stroncature, Firenze, Vallecchi, 1978, pag. V.

[5] Gianni Scalia (a cura di) "Lacerba", "La Voce", 1914-1916, Torino, Einaudi, 1961, pag. 22.

[6] Luigi Baldacci, Il futurismo a Firenze in Libretti d’opera e altri saggi, Firenze, Vallecchi, 1974, pagg. 69-70 (ma il saggio era già apparso su "Il Bimestre", n. 2, giugno 1969).

[7] Luigi Baldacci, Introduzione in Giovanni Papini, Opere. Dal "Leonardo" al Futurismo, Milano, Mondadori, 1977, pag. XXXVI.

[8] Ivi, pag. XXXIII.

[9] Luciano De Maria, op. cit., pag. XIII.

[10] Luigi Baldacci, Introduzione cit., pag. XXXVI.

[11] Paolo Bagnoli (a cura di) Giovanni Papini. L’uomo impossibile, Firenze, Sansoni, 1982.

[12] Giovanni Papini nel centenario della nascita (Atti del Convegno a Palazzo Medici Riccardi, 4-6 febbraio 1982), Milano, Vita e Pensiero, 1983.

[13] Mauro Mazza, Giovanni Papini. L’inquietudine di un secolo, Roma, Giovanni Volpe Editore, 1981.

[14] Giuseppe Fantino, Saggio su Papini, Milano, Editrice Italia Letteraria, 1981.

[15] Janvier Lovreglio, Une odyssée intellectuelle entre Dieu et Satan. Giovanni Papini (1881-1956), Lethielleux, Paris. Vol. I, L’homme, 1973. Vol. II, La pensée, 1975. Vol. III, t. I, L’écrivain, 1978. Vol. III, t. II, L’écrivain, 1981.

[16] Giovanni Papini, L’esperienza futurista, Firenze, Vallecchi, 1981.

[17] –, Il Diavolo, Milano, Mondadori, 1985.

[18] –, Strane storie, Palermo, Sellerio, 1992.

[19] –, Un uomo finito, Firenze, Ponte alle Grazie, 1994.

[20] –, Passato remoto, Firenze, Ponte alle Grazie, 1994.

[21] –, Gog, Firenze, Giunti, 1995.

[22] Andrea Marcigliano, Gog di Giovanni Papini ed. Giunti, in una recensione pubblicata sulla rivista telematica Letteratura Tradizione: http://www.pesaro.com/heliopolis/letture.html

[23] Enzo Siciliano, Prefazione a Giovanni Papini, Gog, ed. cit., pag. 15.

[24] Giovanni Papini, Chiudiamo le scuole!, Milano, Luni, 1996.

[25] –, I testimoni della passione, Genova, Marietti, 1997.

[26] Carlo Bo (a cura di), Io, Papini (antologia), Firenze, Vallecchi, 1967.

[27] Giovanni Papini, Umilissime scuse, Genova, Marietti, 1997.

[28] Giovanni Papini-Domenico Giuliotti, Dizionario dell’Omo Salvatico (A-B), Firenze, Vallecchi, 1923.

[29] Carlo Bo, Introduzione in Umilissime scuse, ed. cit., pag. 7.

[30] Giovanni Papini, Il sacco dell’orco, Milano, Scheiwiller, 2000.

[31] –, Il sacco dell’orco, Firenze, Vallecchi, 1933, pag. 21.

[32] Roberto Ridolfi, Vita di Giovanni Papini, Milano, Mondadori, 1957, pag. 256.

[33] Andrea Vannicelli, op.cit., pag. 18.

[34] "Con Papini non si può scegliere. Si deve prenderlo in toto anche a patto di dover fare i conti con ciò che non ci aggrada e di respingerlo. Degli altri scrittori resta un libro o due; il loro "capolavoro". Papini non può scrivere "capolavori". È e resterà se stesso in ogni pagina, e a leggerne solo una parte si corre il rischio di non comprendere niente o di credere che questo genio senza eguali sia nulla più che un "letterato"". Mircea Eliade, L’isola di Euthanasius. Scritti letterari, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, pag. 303 (O nouă viaţă a lui “Gianfalco”, "Vremea", VII, 353, 2 settembre 1934, pag. 9)

[35] Mircea Eliade, op. cit., pag. 303.

[36] Giovanni Papini, Preavviso dell’autore in Giovanni Papini, Concerto Fantastico, Firenze, Vallecchi, 1954, pag. VI.



Questo articolo di Antonio D'Amicis è stato pubblicato per la prima volta nel numero 5/2004 della rivista telematica E-Leonardo in italiano con il titolo La (s)fortuna di Papini e in traduzione rumena di LASZLO Alexandru con il titolo (Ne)Şansa postumă a lui Papini; è stato, inoltre, tradotto in lingua portoghese da Michelle Colombo con il titolo A (des)ventura de Papini

 

 


 

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