Mircea Eliade, L'isola di Euthanasius. Scritti letterari, Bollati Boringhieri, 2000

Nell'inverno 1938-39 Eliade sceglie, per raccoglierli in volume, articoli e saggi che ha pubblicato sulle riviste romene negli otto anni precedenti. Di ritorno dall'India, il giovane studioso, che più tardi scriverà di "avere disimparato il romeno e di avere difficoltà a trovare le parole", dà prova di quella mirabolante vastità di interessi che lo renderanno unico non solo tra gli storici delle religioni. I prediletti studi indianistici sono scortati qui da aggiornatissime letture di prima mano delle maggiori letterature occidentali, in cui un vero talento critico è al lavoro per sottrarre Svevo all'appiattimento - allora prevalente - sull'introspezione e sulla psicologia, e accostarlo a Balzac, o per ripercorrere d'un fiato l'opera di Huxley. Eliade balza dal folklore alla narrativa, dalla saggistica politica all'iconografia, dall'antichistica all'anedottica biografica. Eppure l'insieme di questi contributi non ha nulla della congerie, dell'enciclopedismo d'occasione. Riletti in forma di libro, si dispongono naturalmente in una trama che ha il suo filo conduttore nella ecumenicità del "simbolo", che pervade le culture tradizionali orientandone il più piccolo gesto "verso una realtà transumana", ma agisce anche come logica segreta dell'opera d'arte di ogni tempo, al di là delle intenzioni d'autore.

 

 

Renato Serra, Lettere in pace e in guerra, Nino Aragno Editore, 2000

Geno Pampaloni, nella prefazione a questo volume che raccoglie più di cento lettere, afferma: «Renato Serra appartine alla storia della culture italiana ed europea e, oserei dire, alla storia della libertà». Le lettere indirizzate, tra gli altri, alla madre, a Luigi Ambrosini, a Benedetto Croce, a Giuseppe De Robertis, a Carlo Linati, ad Alfredo Panzini, a Giovanni Papini e a Giuseppe Prezzolini tracciano una sorta di autobiografia di «un europeo di provincia» (secondo la definizione di Ezio Raimondi), come figlio, come studente, come amico, come cittadino, come scrittore e come critico. «La critica era per lui» scrive ancora Pampaloni «un momento del vivere». «La letteratura molte volte è logica, compatta intorno ad un centro solo» annota Serra in una delle lettere alla cugina Tina «mentre la vita ha tutti i centri». Le Lettere in pace e in guerra costruiscono l'esemplare ritratto di un intellettuale che riesce sempre a salvarsi «dalla demagogia della ideologie»: agli inizi «chiuso lungamente» come lo scrittore dice di sé «in una sorta di prigione di letteratura provinciale e di modestia e di ossequio umanisticamente preciso», riuscì, poi, tappa dopo tappa, a vivere «il suo tempo con appassionata fraternità».

 

 

Orio Vergani, Alfabeto del XX secolo, Baldini & Castoldi, 2000

Protagonisti, eventi, luoghi, storie del Novecento nell'«enciclopedia» di un grande del giornalismo.

Dall'articolo dedicato a Papini:

Ma per noi, ancora giovinetti nel 1919, chi era Papini? Diciamolo dunque adesso che son passati trentasei anni, diciamolo con tutta l'inoocenza che in questa testimonianza risale alla memoria di quel tempo lontano: era stato per noi il «terribile» e adorato compagno di scuola, quello che brucia i libri di testo perché li ha letti tutti, quello che non si presenta agli esami perché dovrebbe esser lui, beffardo, a interrogare chi lo esanima, quello che, alla notte, legge finché la candela non brucia il candeliere, e che da una stanzetta povera, interroga i mondi e usa la pagella per piegarla in quattro a sostenere la gamba zoppicante del tavolino. Era il protagonista dell'Uomo finito, il ritrattista, attraverso un autoritratto nel quale si identificava tutta una generazione, dell'eroe di un'avventura che doveva apparirci l'avventura-chiave del nostro secolo. Riottoso, barricadero, sapiente come un alchimista e sorprendente come uno stregone, avremmo giurato di averlo visto cento volte camminare, l'Uomo Finito, lungo i muri della vecchia Biblioteca, del vecchio Museo, della vecchia Scuola, alto, ossuto, lungocrinito, distratto e torvo, con le tasche piene di libri, di opuscoli e di bombe: l'opposto del bellissimo Lord Byron che, giusto cent'anni prima, aveva scritto il Childs Harold. Negromante e profeta, dentuto come l'Orco, disordinato nell'abito come un Lazzaro, sepolto fra i libri, ma senza impazzirne, come Don Chisciotte, finalmente la Toscana d'oggi antica, madre di poeti, ci aveva dato un toscano di statura antica, e la Firenze ormai provinciale un uomo che potevamo collocare nel tempo prodigioso che va dal Duecento al Cinquecento. Straordinario uomo che amavamo perché «era dei nostri», come dicono i ragazzi, il peggiore e il migliore di tutta la nostra masnada. Il più caro di quelli che i nostri genitori, zii, prozie e nonne chiamavano i «cattivi compagni di scuola».

4 maggio 1955

 

Giovanni Lugaresi, La lezione di Prezzolini, Neri Pozza, 1998

La misura di questi scritti è quella del "medaglione-intervista" per gli autori viventi incontrati: da Prezzolini a Moretti, da Biagio Marin a Carlo Bertocchi, da don Angelini a Nicola Risi, da Knud Ferlov a Bargellini a don Francesco Fuschini.Personaggi ora noti ora dimenticati, ma che hanno costituito un momento significativo nella storia della nostra cultura. Per i personaggi che non sono più, da Papini a Guareschi, a Giulio Bedeschi, a Francesco Balilla Pratella, la misura è quella della rievocazione "provocata" da un anniversario, o da un libro, o da una scoperta. Ci sono, infine, in questo panorama di incontri e letture (e riletture), i luoghi della memoria: dalla indimenticata natia Romagna alla sempre amatissima Toscana, alla terra veneta, patria di elezione, tutti, sempre legati a qualche personaggio di una letteratura vista con l'occhio del cuore e testimoniata poi sulla pagina col piglio sciolto del giornalista. Affiora con misura e pudore il sentimento di affetto e di stima nutrito dall'autore per i personaggi incontrati e per quelli conosciuti soltanto sui libri. E' il caso, in questo secondo ambito, di Manara Valgimigli, da Lugaresi considerato soprattutto come prosatore, memorialista, descrittore e soprattutto anima sensibilissima a certi valori, come si rivela del resto nelle "Lettere a Francesca" (Pan/Milano). La presentazione di quella corrispondenza apparsa sull'"Osservatore Romano della Domenica" piacque molto, fra l'altro, anche a Paolo VI, secondo la diretta testimonianza dell'allora direttore del settimanale vaticano Enrico Zuppi.
Scritti dal 1970 ai giorni nostri, infine, questi capitoli verrebbero a costituire un contributo alla storia culturale di un quarto di secolo, attraverso autori che non sono più, ma che hanno rappresentato pur qualcosa al loro tempo, e più di uno continua a rappresentare qualcosa.

 

Carmine Di Biase, Giovanni Papini. L'anima intera, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1999

Un ritorno a Papini, necessario oggi. Una rivalutazione e messa a punto in un’operazione culturale di fondo, che mira all’interezza dell’opera e della figura di Papini, considerata nell’insieme della sua molteplice attività di scrittore e di operatore culturale. Il “problema Papini” non si risolve puntando sull’uno o l’altro momento della complessa personalità umana e artistica dello scrittore: privilegiando il “laico” o l’eversore giovanile di «Leonardo» e di Un uomo finito, oppure il “convertito” della Storia di Cristo e del ritorno all’ordine, o l’autore delle Schegge dell’ultimo Papini. Un Papini perciò qui riproposto nel solco di una visione completa, nell’esame dell’opera intera, vista nella singolarità e concordanza di significati e valori: e sempre in una prospettiva d’insieme, come espressione dell’«anima intera» dello scrittore. E cioè delle ragioni vere, umane e stilistiche, nella loro coerenza anche contraddittoria, ma in fondo unificante: nel Papini di sempre.

 

Vincenzo De Gregorio (a cura di) Bibliologia e critica dantesca: saggi dedicati a Enzo Esposito, Ravenna, Longo, 1997. 2 v. (Il portico; 108-109). Vol. 1: Saggi bibliologici. 293 p. ISBN 88-8063-123-3. Vol. 2: Saggi danteschi. 434 p. ISBN 88-8063-135-7.

Nel secondo volume è contenuto il saggio di Carmine di Biase Giovanni Papini: Dante.

Carmine Di Biase, professore di Lingua e Letteratura Italiana all’«Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa» di Napoli, è autore, fra l’altro, di Diari di vita. Alvaro, Pavese, Papini (1967), L’esperienza del Futurismo (1988), La letteratura come valore (1993), Letteratura religiosa del Novecento (1995), Novecento letterario italiano. Ricognizioni (1997).

 

Claudia Salaris, Luciano folgore e le avanguardie. Con lettere e inediti futuristi, La Nuova Italia, 1997

Il volume è dedicato alla figura di Luciano Folgore (pseudonimo di Omero Vecchi, Roma 1888 - Roma 1966), uno dei più importanti esponenti della prima generazione di poeti futuristi. Ripercorre le tappe che dal primo contatto con Marinetti, nel 1908, subito seguito dall'adesione al movimento, nel 1909, portano Folgore alla composizione di versi liberi, alla stesura del manifesto "Lirismo sintetico e sensazione fisica" (1913), alla collaborazione con varie riviste, tra cui "Lacerba", "La Voce", "Avanscoperta", "Sic", fino al distacco dall'avanguardia con la contemporanea scelta della cifra espressiva dell'umorismo.
Un contributo essenziale alla ricostruzione della figura di Folgore e del clima delle avanguardie tra futurismo, liberismo, metafisica, dadaismo, "esprit nouveau", fino al ritorno all'ordine, è costituito dalla pubblicazione di alcuni inediti, tra cui "Negli hangars del futurismo" (1914), ricco di "storie, aneddoti, indiscrezioni, rivelazioni" sui protagonisti del movimento, e di un'ampia scelta di lettere scritte dalla stesso Folgore o a lui inviate da Lucini, Marinetti, Palazzeschi, Papini, Pratella, Prampolini, Fiumi, Bontempelli, Severini, Sironi, Soffici, Russolo, Ungaretti e molti altri.

 

Pietro Prini, La filosofia cattolica italiana del Novecento, Laterza, 1996

La prima ricostruzione complessiva del cattolicesimo filosofico italiano del Novecento.
Come la filosofia cattolica ha affrontato il problema dell'autonomia della ragione e dell'interiorità della fede in una rassegna che va da Papini a Buonaiuti, da Varisco a Bontadini, da Del Noce a Capograssi.

 

 

 

Vasili Bertoloni Meli e Lucia Ferrati, Ercole Luigi Morselli, La Nuova Italia, 1993

Un'odissea, la vita di Ercole Luigi Morselli (Pesaro 1882 - Roma 1921). Dal cenacolo fiorentino con Alfredo Mori, Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini al viaggio in Africa e in America Latina con Federico Valerio Ratti, dalla fuga d'amore con Bianca Bertucci alla dura e spietata gavetta nell'ambiente giornalistico romano, dal pellegrinaggio per le 'corti' teatrali ed editoriali e poi, malato di tisi, per i sanatori italiani, dai trionfi del dramma teatrale "Glauco" (prima rappresentazione nel 1919) alla prematura morte, l'accidentato e tormentoso percorso biografico e letterario dello scrittore sembra riassumere in sé tutti quei 'luoghi' di una topica esistenziale e ideologica in cui si identificano (da Campana a Gozzano) tanti protagonisti del primo Novecento italiano.
Troppo a lungo e ingiustamente dimenticate da pubblico e critica, l'opera e la personalità di Ercole Luigi Morselli meritano oggi, a più di settant'anni dalla morte, di essere riscoperte e rivalutate. Poco conosciuto e studiato come drammaturgo - pur avendo rappresentato all'epoca sua, tramite gli osannati capolavori di "Orione" e "Glauco", l'unica alternativa italiana, in senso antieroico si intende, al mito dannunziano - Morselli lo è ancor meno come autore di prose: prose - di cui pure il teatro si nutre ampiamente sia per lo stile che per le immagini - nelle quali rivela invece una tecnica descrittiva e stilistica sapiente ed originale, graffiante e allo stesso tempo capace di alto lirismo, e un gusto raffinato, quasi trecentista, attento alla forma e all'uso del vocabolo.
In questo studio si è cercato di ricostruire la sofferta parabola biografica ed artistica dello scrittore, non trascurando di porre l'accento su quella produzione inedita, riemersa dallo spoglio delle carte autografe, di fondamentale importanza per la piena e profonda comprensione di una delle personalità più suggestive e complesse del nostro Novecento letterario.

Vera Gaye, La critica letteraria di Giovanni Papini, Remo Sandron, 1965

In questo studio è analizzata l’attività critico-letteraria di Giovanni Papini: le sue preferenze, il suo gusto, i motivi ispiratori etici ed estetici che sono alla base della sua opera di “lettore”, multiforme e apparentemente disorganica ma non priva di saldi ancoraggi. «L’intento di questo libro – riassume appunto l’Autrice – è di ricavare direttamente dalla sua fonte, cioè dalla parola scritta dal Papini, i caratteri e il metodo della sua critica letteraria…».  Attraverso una minuziosa ricognizione degli scritti di critica, dai saggi in volume agli articoli di riviste e di giornali, il libro ricostruisce nella sua vitale complessità e ricchezza di motivi un lato fino allora trascurato e sottovalutato della personalità dello scrittore fiorentino.

Il libro, nonostante il tempo passato dall'uscita, è ancora disponibile: www.sandron.it/scheda_Papini.htm

 

 

 

 

 

Opere 2001-2004