Il Vicario di Cristo

 

1.

 

Il Papa è il Vicario di Cristo. Deve dunque continuare sulla terra gli uffici terrestri di Cristo: ammaestramento e patimento.

La crocifissione di Pietro, il martirio dei primi pontefici – da Lino a Marcello – l’esilio di Gregorio VII e di Pio IX, la ceffata a Bonifacio VIII, la prigionia di Pio VII furono i visibili frammenti della Passione di Cristo continuata nei suoi Vicari. Infinitamente più aspri e duri i tormenti interiori dei Pontefici. Tradimenti, rinnegamenti, diserzioni e secessioni, scismi e decadenze, stragi e rivolte: altrettante lance nel costato dei legatari di Pietro.

Un Papa che non soffre non è vero Papa.

 

2.

 

Il Papa è il Vicario di Cristo. E’ dunque il giudice naturale dei fortunati e dei potenti, l’avvocato naturale dei poveri e degli infelici.

Mandatario del Re dei Re, nessuno, con maggior diritto del Papa, può ammonire i principi delle nazioni e i capi dei popoli.

Sacerdote massimo del Dio che s’inumanò per amore degli uomini, nessuno meglio del Papa, può disacerbare i trafitti, rallietare i lacrimanti, disavvelenare gl’infetti, sfamare i famelici di giustizia, proclamare primi quelli che il mondo tiene ultimi.

Rampognare i grandi e difendere i minimi attira, di necessità, l’odio di molti, Il Papa che non ha nemici non è vero Papa.

 

3.

 

Il Papa è il Vicario di Cristo. Anche in lui, dunque, debbono coesistere due nature. Tutt’e due umane, s’intende, ch’egli è uomo soltanto ma tra loro così disformi da sembrare quasi opposte.

La prima è rappresentata dall’uomo naturale, soggetto alle miserie e alle fragilità della condizione umana; effimero esemplare dell’umanità, parva creatura di fronte all’infinità del Creatore.

La seconda natura, invece, è quella che lo Spirito Santo ispira ed assiste dal giorno della sovrumana investitura, è l’uomo sublimato dalla sua stessa dignità d’intermediario tra i disegni di Dio e le implorazioni degli uomini. Da un lato il Papa non è che un uomo tra gli uomini ma dall’altro è posto più in alto di ciascuno di noi, quale interprete e legato della Seconda Persona. Deve perciò riconoscersi fratello dell’ultimo limosiniere ma deve pur sentirsi al disopra del più vittorioso imperatore della terra.

Il Papa che non ricorda la sua piccolezza non è vero Papa. Il Papa che non avverte la sua grandezza non è vero Papa.

 

4.

 

Il Papa è il Vicario di Cristo e perciò, nei limiti dell’ordine storico, partecipa della sua eternità.

Il Papa è l’unico contemporaneo superstite dell’Impero Romano; ha visto sorgere e cadere l’Impero d’Oriente; ha visto nascere e morire il Sacro Romano Impero; ha visto la decadenza dell’egemonia spagnola e dell’egemonia francese; ha visto divampare ed estenuarsi l’Islam e la Riforma; è stato testimonio di tutte le rivoluzioni e di tutte le ristorazioni, di tutte le catastrofi e di tutte le rinascite. I capi religiosi del mondo, tanto il Khalifa dell’Islam che il Dalai Lama del Tibet – senza dire dei patriarchi e primati delle chiese scisse – son venuti assai dopo di lui e alcuni già sparirono o spariscono. Se agli occhi di dio mille anni sono appena un giorno ali occhi del Papa un secolo dovrebbe sembrare appena un anno.

Il Papa che guarda alla cronaca più che alla storia non è vero Papa.

 

5.

 

Il Papa è il Vicario di Cristo. Cristo è amore ma il suo amore, appunto perché perfetto, prese talvolta le forme della minaccia e dell’invettiva. Non soltanto inveì contro i Farisei – servi della lettera – e i mercanti – servi della moneta – ma perfino contro quelli ch’erano a Lui più vicini e legati. Pietro stesso – che doveva essere il Suo primo Vicario – fu da Lui accusato di essergli un intoppo, un avversario, Satana. (Matteo XVI, 23. Marco VIII, 33).

L’amore del Papa per i suoi figli spirituali non deve rifuggire, quando bisogna, dalla violenza giusta del rimprovero. La salvezza della Cristianità gl’impone d’esser severo, anche verso gli uomini a lui più necessari e più cari.

Un Papa che non osa condannare non è vero Papa.

 

6.

 

Il Papa è il Vicario di Cristo. A somiglianza del monarca ch’è sua guida e misura deve amare i fanciulli. E non soltanto quelle creature nuove che s’avviano, attraverso la crescenza e la decadenza, alla morte. Deve anche saper riconoscere e amare la divina fanciullità dello spirito quale si manifesta con visibili tratti nel santo, nel genio, nell’eroe. Non sempre la pretta saggezza è nel savio secondo l’opinione e la tradizione. Nei fanciulli v’è ardire e meraviglia, plasticità e novità; ai canuti rimane spesso lo scetticismo sterile della ragione invano ragionante. Chi non si fa simile ai fanciulli non avrà la rivelazione della terra né il regno dei cieli. Nei poeti e negli artisti il fanciullo si rifiuta di morire e perciò nelle fantasie loro è spesso più luce di sapienza e di salvezza che nelle razionalissime ingenuità dei politici e dei teorici. In tempi straordinari l’ordinaria amministrazione dell’intelletto deve cedere il passo agli impeti ed ai candori dei fanciulli sopravvissuti alla gioventù. Il Papa che non ricerca, nei migliori, la superstite fanciullezza non è vero Papa.

 

7.

 

Il Papa è il Vicario di Cristo. Spetta anche a lui, nei confini delle facoltà umane, redimere, cioè riscattare, ricomprare, liberare. Assumere su di sé non la colpa, ma l’espiazione dell’errore sempre risorgente, del peccato più che mai straripante.

Egli deve offrire tutta la sua forza, tutta la sua anima – e se occorresse anche la sua vita – per liberare gli uomini dai miraggi luciferiani, dalle istigazioni della protervia, dal terrore dei leviatani, dalla caliginaia della menzogna, dall’impostura della sofistica, dai sortilegi dei falsi messia, dalle pastoie invisibili ma terribili dei filistei e dei farisei.

Il Papa che non aspira ad essere, fin là dove gli è concesso, un redentore non è vero Papa.

 

 

Giovanni Papini, Cielo e Terra, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1943, pagg. 39-45

 


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